11.
La tipografia

— Ciao — disse Annette presentandosi alla porta della mansarda.

— Annette! — sorrise Lalou. — Che ci fai qui?

— Sono tornata a casa con il signor Janvier... posso entrare un momento?

— Se sopporti il disordine, sei la benvenuta!

— Solo un minuto.

Lalou le fece strada in quella che era la sua camera-studio. Una stanza enorme, dipinta di bianco, con il soffitto spiovente, in cui si apriva un oblò circolare con vista sulla città, fino alla Senna.

— Dicevi che anche il signor Janvier è tornato a casa... — si informò il ragazzo del Mali liberando un puff rosa per farla sedere.

Nella stanza si sentiva il ronzio di almeno tre diversi computer accesi, e brillavano decine di lucine di altri apparecchi: modem, stereo, lettori dvd...

— Si è fermato in negozio per aggiornare il figlio della signora Barduchon sull’udienza di oggi... poi ha detto che doveva rendere conto all’arpia. Cioè la moglie.

Lalou sorrise.

— Com’è andata?

— Annette gli raccontò in poche parole dell’arresto temporaneo del signor Deloffre, poi gli domandò se avesse scoperto qualcosa sul conto dei padroni di casa, i Bloch.

— Pochissimo, in realtà. Non sono su Facebook scherzò lui. — Ma ho solo cominciato. Immagino che ci voglia un po’ di tempo per diventare segugi...

Annette arrossì. Come sempre, era a suo agio in compagnia di Lalou: le piacevano la sua voce tranquilla e il suo eterno sorriso bianco. E, quando lui si sbottonava un po’, le piacevano i racconti sul Mali, dove il ragazzo aveva vissuto prima di trasferirsi a Parigi.

— Tu lo sapevi già, vero? — gli domandò guardandolo negli occhi. — Della riunione di ieri sera... e scommetto che l’altro giorno non avevi le prove del gruppo.

— Come fai a dirlo?

— Giorno sbagliato. Di solito hai le prove il giovedì.

Lalou ridacchiò: — Il signor Barduchon ci ha visto giusto, allora. Sei davvero una piccola investigatrice. Comunque sì, hai ragione, lo sapevo da un paio di mesi e non vedevo l’ora che fosse tutto pronto per l’inaugurazione. Poi, per il caso Deloffre, l’abbiamo dovuta anticipare...

— E... voglio dire... quando avete deciso di fondare questo piccolo club... avete subito pensato a noi... a me e Fabò... oppure... è stato per via del... pedinamento di Deloffre?

— Vuoi scherzare? — ridacchiò Lalou dandole un buffetto sulla guancia che Annette sentì andare a fuoco. — Pensi davvero che avremmo lasciato fuori i migliori risolutori di Enigmi del Mese di tutto il palazzo?

Annette sorrise, rincuorata, e tirò fuori il suo taccuino. — Allora ci sarebbe una cosa che ti devo chiedere. Ti andrebbe di accompagnarmi in rue Pierre Chapon?

— A fare che?

— A controllare la tipografia Hugotte, dove lavorava il signor Deloffre prima di essere licenziato.

Lalou guardò gli indicatori lampeggianti dei suoi vari computer, poi si strinse nelle spalle. Cercò il giubbotto tra le mille magliette gettate alla rinfusa per tutta la stanza e disse: — Ya, deyel.

— Ovvero?

— “Andiamo, signora” nel mio dialetto. O, se preferisci: “Andiamo, principessa”.

Annette preferiva.

 

La tipografia aveva le finestre per metà sotto il livello della strada. Erano illuminate e, dall’interno, proveniva un rumore sferragliante di macchinari. La scritta Hugotte, sopra l’ingresso dai vetri smerigliati, aveva perduto le prime due lettere. Non era un buon segno, per una tipografia.

Entrarono.

L’ambiente era costituito da due grandi stanze. Nella prima, dietro un bancone invaso di ritagli di manifesti e di prove di stampa, erano accatastati i pacchi di carta, ancora da aprire. Nella seconda, divisa dall’altra da un’arcata, c’erano invece le macchine in funzione, nere e massicce, che sputavano i fogli colorati uno dopo l’altro.

C’era una sola persona al lavoro, che impiegò quasi una decina di minuti per accorgersi di loro.

A quel punto, fermò la macchina in funzione e si avvicinò.

— Buonasera! — lo salutò Lalou. — Il signor Hugotte?

L’uomo scosse il capo. Era piccolo, con le mani nodose e il volto sporco di inchiostro.

— Il signor Hugotte non si vede da mesi. Sono un dipendente, vi può andare bene lo stesso?

— Sicuro.

— Cosa vi serve?

— Dobbiamo stampare i manifesti del nostro prossimo concerto.

— Quanti?

— Un centinaio, direi.

— Che misura?

— Un formato standard.

— Non esiste un formato standard. Li stampiamo grandi quanto volete voi.

— Così, direi — spiegò Lalou indicando uno dei manifesti appena usciti dalla macchina.

L’uomo annuì e cercò una penna per farsi un appunto. — Avete un file? Sapete in che formato darcelo per stamparlo?

— Ci manda il signor Deloffre — intervenne allora Annette.

Per la prima volta dall’inizio della conversazione, l’uomo della tipografia sembrò guardarli davvero.

— Deloffre? E come sta quel vecchio farabutto?

— Bene, direi.

— Ha trovato una sistemazione?

— Sta cercando.

— Non è un buon periodo, per rimanere senza lavoro, e a quell’età...

— Già. Una vera sfortuna, direi.

— Così la pensa lui. Ma io glielo dicevo: «Se continui così, te la vai a cercare. Te la vai a cercare...» e puntualmente... se l’è trovata!

— Cercare? Cercare cosa, scusi?

L’uomo rimase in silenzio, passandosi il dorso della mano sulle labbra. Prese carta e penna e cominciò a scrivere come se non avesse sentito la domanda. — E voi com’è che lo conoscete, Deloffre?

Lalou e Annette si guardarono.

— Siamo i nipoti — rispose lei.

— Siamo i suoi vicini di casa — rispose lui.

E infine Annette ricapitolò: — Io sono sua nipote e lui è il suo vicino di casa.

L’uomo della tipografia ridacchiò. — Non sapevo che avesse una nipote così carina... Cento, avete detto...

— Cento — ripeté Lalou.

— Ci stava parlando di qualcosa che... lo zio si sarebbe andato a cercare — insistette Annette.

— Ah, Deloffre... Deloffre! Mai che riuscisse a lavorare senza protestare. Tu certo lo saprai, bambina, non è vero? Non gliene va mai bene una. Se c’è il sole fa caldo ed è colpa del buco nell’ozono. Se c’è la pioggia fa freddo ed è sempre colpa del buco nell’ozono. E sul lavoro... non che ci fosse molto lavoro da fare, qui in tipografia, ma... abbastanza per camparci in due, con la parte del proprietario Hugotte. Nessuno affilava i coltelli per rubarci il posto, voglio dire... ma protesta una volta perché vuoi organizzare il lavoro in modo diverso, protesta ancora perché hai le tue idee su cosa stampare e cosa no... protesta un’altra volta perché il proprietario non ne vuole sapere di investire in macchinari nuovi... alla fine Hugotte l’ha sbattuto fuori!

— Il signor... voglio dire... lo zio voleva solo migliorare le cose, quindi... — disse Annette.

— Oh, certo. Aveva le sue idee su tutto. Spostare le macchine... dare via quelle vecchie e comprarne una nuova... cominciare a stampare manifesti pubblicitari per farsi conoscere in giro... andare su Internet... puah! Tutte cose che a Hugotte non interessavano... Anzi, lo infastidivano!

Lalou sorrise. Annette, invece, era stupefatta. Mai e poi mai avrebbe detto che Deloffre avesse spirito imprenditoriale e volesse rimodernare la tipografia.

— Adesso che ci penso, — esclamò il tipografo guardandosi intorno come per cercare un telefono che squillava — tuo zio se ne è andato così in fretta che ha lasciato qui buona parte delle sue cose... Dove le ho messe? —. L’uomo cominciò a sollevare risme di carta e a controllare in ogni angolo della tipografia, fino a quando non trovò uno scatolone del tutto anonimo, con una grossa scritta fatta con il pennarello rosso: DELOFFRE. Eccola qui! La volete? Se non viene a riprendersi queste quattro carabattole, finisce che gliele butto via!

— Le lasci pure a noi! — esclamò Lalou prendendo la scatola. Era leggera, nonostante le dimensioni. Esaminò rapidamente il contenuto: un paio di occhiali, penne, colori, nastro adesivo e un plico di coloratissimi volantini azzurri.

Il suo ultimo lavoro alla tipografia... — spiegò il collega prendendone uno. C’erano la foto di un paesaggio marino e la scritta:

 

VIAGGI SARTOLI

In giro per il mondo, come vuoi tu

Rue Planch-Baronne 17

Paris

 

— Lo slogan era suo. Gli sembrava geniale, vecchio matto che non era altro.

Lalou ripose il volantino nella scatola di cartone, sorridendo a denti stretti. — Forse è il caso di andare disse.

— Aspetto il file per i manifesti, allora — gli ricordò il tipografo. — Non mi portare quella roba per Mac, che non riesco a leggerla in nessun modo, chiaro? E non portarmela di sabato dicendo che ti serve per la domenica, perché io sabato stacco, e non mi vedi fino al lunedì successivo, cascasse il mondo.

— Intesi — rispose Lalou sollevando la scatola.

— Cento?

— Cento.

Quando i due ragazzi furono di nuovo in strada, sentirono la macchina da stampa che si rimetteva in funzione.

I gialli di vicolo Voltaire - Un bicchiere di veleno
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